Circa dieci anni fa, in qualità di consulente e formatrice, ho cominciato a seguire progetti per le banche di credito cooperativo e, quando ho capito che mi sarei occupata di comunicazione efficace e vendita nell’ambito della finanza e delle assicurazioni, la mia coscienza ha vacillato. Guardavo quel mondo con diffidenza, lo conoscevo poco ed ero in una condizione personale assimilabile a quella di un cliente medio. Ora posso affermare che si trattava di un bias cognitivo, cioè quello che la psicologia definisce un costrutto fondato su percezioni errate o deformate. Grazie agli studi di Kahneman e Frederick, sappiamo che i bias sono particolari euristiche (procedimenti mentali intuitivi e sbrigativi, una sorta di scorciatoie mentali) utilizzate per esprimere giudizi su cose mai viste o di cui non abbiamo esperienza, che alla lunga diventano pregiudizi.
Nel tempo, grazie all’esperienza sul campo e al confronto con i consulenti, ho capito che proteggersi è una priorità e la consulenza che le banche possono offrire ai loro clienti sul tema della protezione è profondamente etica.
Ancora prima di cercare un rendimento investendo il proprio patrimonio, ciascuno dovrebbe occuparsi di proteggerlo.
Nei mesi scorsi mi sono imbattuta casualmente in un curioso articolo di cronaca che riportava la disavventura di una famiglia alla più importante fiera d’arte contemporanea di Basilea. L’opera dell’artista Katharina Fritsch intitolata “Fliege”, mosca in tedesco, era esposta in una delle sale e un bambino di tre anni, sceso dal passeggino, le si è avventato contro, distruggendola. La richiesta di risarcimento è ammontata a 50.000 euro. Pochi secondi, forse un momento di distrazione dei genitori e l’inconsapevolezza del piccolo hanno provocato un danno economico rilevante per quella famiglia. Ed è andata bene, dal momento che all’esposizione erano presenti opere quotate anche diversi milioni di euro.
Questo “piccolo” evento, insieme a due fatti che mi hanno toccato più da vicino, in cui un amico cinquantenne in perfetta forma è stato colpito improvvisamente da un ictus, fortunatamente risolto al meglio, e il tetto della casa di altri amici andato completamente distrutto a causa di un incendio con un danno di 200.000 euro, mi ha fatto riflettere molto sull’imponderabile. E su quanto sia penalizzante, se non addirittura pericolosa, quella che tecnicamente si definisce strategia di ritenzione (ritention) che si configura come self-insurance nel momento in cui il soggetto tiene su di sé il rischio puro, fronteggiando gli eventuali danni con il patrimonio personale o con atti di risparmio. Si parla di rischio puro quando al verificarsi di un evento (sinistro) si produce una conseguenza negativa certa (danno) per il soggetto; mentre il non verificarsi dell’evento determina effetti nulli. Perciò la sua natura binaria (perdita VS mantenimento dello status quo) comporta l’assenza di effetti di compensazione per chi ne è esposto. Ciò significa che tenere su di sé, per scelta o inconsapevolezza, un rischio o più rischi può generare effetti di perdita cumulativi, che possono compromettere gravemente o completamente la stabilità economica personale e/o familiare.
Al contrario, si parla di transfer quando il soggetto s’impegna a eliminare l’esposizione al rischio, scaricando su terzi le possibili conseguenze dell’evento.
A metà strada lungo il continuum ideale tra ritention e trasfer, si posiziona la strategia di riduzione dell’esposizione al rischio attraverso l’adozione di comportamenti cauti e preventivi che agiscono sulla probabilità che si verifichino eventi dannosi (loss prevention, ad esempio non praticare sport estremi) o sulla loro gravità (loss reduction, ad esempio dotarsi di estintori). (N. Marinelli, 2012)
Le strategie evidenziate possono essere il risultato di una serie di fattori che una recente indagine condotta dal broker Mansutti, in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia della Sapienza di Roma, ha rilevato, mettendo per esempio in evidenza che tra le ragioni per cui le persone non si assicurano (ritention) vi è in primis la percezione di costo elevato delle polizze, seguita dalla scarsa conoscenza dei prodotti assicurativi e dal fatto di non avere un partner o dei figli. Inoltre, su questa decisione pesa l’esperienza pregressa, infatti non aver mai avuto un sinistro in precedenza porta maggiormente a non stipulare polizze, facendo sì che i bisogni di protezione restino latenti o che si riduca la percezione della probabilità di un sinistro, che potremmo leggere come frutto del bias dell’ottimismo (“tanto a me non capita”).
A ciò aggiungo l’indagine del 2018 del Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo “Il risparmio e le assicurazioni: investimento e protezione del futuro”, la quale conferma che gli italiani sono sotto-assicurati: “ad esempio, solo il 20% dei proprietari ha un’assicurazione sulla casa; solo il 7,5% ha un’assicurazione per la responsabilità civile (ma ben il 56% si dichiara “preoccupato” se dovesse risarcire un danno da 1000 euro); solo il 14% ha sottoscritto un fondo pensione aperto o chiuso (ma il 52% dichiara di essere preoccupato per il mantenimento del tenore di vita quando sarà in pensione). In definitiva, pur con 1,4 polizze assicurative pro-capite (sono escluse quelle obbligatorie sugli autoveicoli), gli italiani hanno in portafoglio più rischi futuri che coperture”.
In questo scenario non certo rassicurante, il consulente nell’ambito della Bancassicurazione assume un ruolo molto importante nel sensibilizzare il cliente sul tema della protezione, proprio per aiutarlo ad uscire dalle distorsioni cognitive in cui spesso si trova.
A questo proposito, vorrei segnalare due criticità che ho riscontrato in maniera abbastanza trasversale nelle realtà di credito cooperativo in cui ho lavorato.
Da un lato, lo sviluppo commerciale sul fronte assicurativo viene realizzato principalmente, se non esclusivamente, in concomitanza all’erogazione di mutui ipotecari e finanziamenti, in cui si propongono polizze a copertura dell’incendio e scoppio e CPI. Questo approccio genera una forte limitazione sia per la banca in termini di cross selling, sia per il cliente che potrebbe rimanere in una condizione di sotto-assicurazione. Senza contare tutti quelli che pur non avendo mutui, hanno bisogni di protezione nei diversi ambiti della vita.
Dall’altro lato, i consulenti private, che gestiscono clienti con patrimoni importanti (solitamente dai 300.000 euro in su) sul fronte degli investimenti, tendenzialmente non si occupano di assicurazioni ramo danni e non hanno nemmeno un budget su questi prodotti. Di fatto perdono l’opportunità di seguire il cliente in maniera globale, gestendone il patrimonio considerando i diversi obiettivi, tra cui quello della protezione che dovrebbe ricoprire una posizione prioritaria.
E così facendo si mette a rischio anche una parte della raccolta: infatti, se i clienti, che hanno somme rilevanti allocate presso la banca, non sono adeguatamente protetti, in caso di sinistri gravi dovrebbero far fronte ai danni conseguenti con il patrimonio personale.
Uscire da queste visioni a tunnel, adottando un approccio di gestione del cliente globale, in cui ogni area di bisogno viene sviluppata a 360°, produrrebbe enormi benefici sia per la banca, sia per i clienti. Da tempo, in LAM Consulting, stiamo lavorando per diffondere il modello del Servizio Globale Etico, attraverso cui realizzare un equilibrio tra obiettivi strategici dell’istituto e soddisfazione della clientela.
Se hai già approfondito il nostro modello di Consulenza Etica Globale, puoi contattarci per richiedere un’analisi preliminare, attraverso la quale capire come adattarlo alla tua banca scrivendoci a progetto@bccalquadrato.it.
Monica Giannoni
Responsabile didattica di LAM Consulting SB