Azioni di cross selling e aspetti di cultura professionale
Per più di un motivo possiamo affermare che il cross selling è una questione di cultura professionale degli operatori. Se le persone non possiedono una profonda comprensione dell’importanza del cross selling, possono vivere le azioni di vendita con pigrizia, come un dovere imposto da altri. Ne è una riprova il fatto che in genere il motivo per cui gli operatori non si attivano sul cross selling è costituito da una serie di pregiudizi (ossia una contro cultura):
– “questi prodotti sono peggiori di quelli della concorrenza”, affermazione che, basandosi spesso su una scarsa conoscenza dei prodotti dei concorrenti, diventa un pregiudizio;
– “conosco bene il mio cliente e so che non ha bisogno di altro”, pregiudizio facilmente confutabile se si rivolgono precise domande al cliente sulla sua situazione di vita e sui bisogni.
Potremmo continuare con un lungo elenco di esempi. Di fatto quando parliamo di cultura, intendiamo dire che le persone compiono azioni di cross selling quando si aprono alla comprensione dei bisogni del cliente, quando sviluppano una curiosità che li porta ad approfondire la conoscenza del mercato, quando cominciano a valorizzare il servizio al cliente, senza limitarsi all’esecuzione di un compito operativo in risposta alla richiesta.
Come ottenere risultati
Nella seguente figura abbiamo rappresentato l’andamento del cross selling di una Banca di Credito Cooperativo con la quale lavoriamo dal 2009 (in blu), al ritmo di 5 filiali ogni 6 mesi circa. L’andamento è confrontato con il risultato delle altre banche nello stesso territorio. Il percorso che abbiamo affrontato insieme agli operatori non era direttamente incentrato sul cross selling, ma sulla cultura della relazione con il cliente. E come si vede, pur avendo lavorato solo con una parte della popolazione aziendale, si è generato un incremento relativo dell’indice di cross selling.
Affinché si crei un cambiamento culturale, è necessario considerare i seguenti elementi che abbiamo messo in campo:
– non è necessario fare tante ore di formazione. Meglio poche e ben distribuite in un arco temporale di alcuni mesi. In questo modo il cambiamento viene assimilato nel tempo e si genera un approccio consulenziale al cliente;
– non servono ragionamenti teorici. Il cambiamento culturale passa attraverso nuove percezioni, che a loro volta richiedono esperienze molto concrete. Perciò abbiamo lavorato con la nostra metodologia ‘laboratorio delle competenze ©’ sulla presentazione ai clienti di alcuni prodotti in campagna in quel periodo;
– è necessario che le buone pratiche ricevano rinforzi nel tempo. Per questo motivo, da un lato, abbiamo definito assieme alle persone coinvolte un sistema di monitoraggio sostenibile, integrato con l’utilizzo del SIM; e, dall’altro, formato dei mentori interni in grado di portare avanti l’azione formativa.
In conclusione, ci preme sottolineare che, nel raggiungimento dei risultati, ha giocato un ruolo fondamentale l’allineamento con la Direzione Commerciale della Banca.